Dic 11

U SFINCIUNI palermitano




“U Sfinciuni” è un tipico piatto palermitano, caratteristico del periodo natalizio; un equivalente siciliano della Pizza Napoletana.

sfincionaro7Nasce dalla farina di grano, un pane speciale “lo sfincione”, grossa sfoglia di pasta lievitata con uno spessore abbastanza ragguardevole, condita con salsa di pomodoro con l’aggiunta di cipolla, pezzettini di acciughe e caciocavallo a scaglie, il cui nome con molta probabilità deriva dal greco “sponghia” (spugna) per la sua morbidezza.

In forme più piccole, “lo sfincionello”, venduto nelle carrettelle del venditore ambulante “ù sfinciunaru” che lo tiene sempre caldo grazie ad una piastra sotto cui vi si alimenta una fonte di calore, e lo invita con la sua voce “Che bellu ù sfincionello, è scarsu d’ogghiu e chinu di puvulazzu”, per alludere nei tempi antichi quando le strade erano polverose e l’olio era un condimento considerato un lusso.

Nel video potete ascoltare l’abbannio di uno sfincionaro che per attrarre l’attenzione dei passanti grida: “Ch’è bello vieru, uora u sfurnavi uora… chi ciavuruuuuuovvero “guardate che bello e che odore, ora l’ho sfornato, ora” !

Pietanza povera per la nostra cucina, nasce dalla necessità di non presentare, per le feste, il solito Pane, ma qualcosa di diverso, in una veste intonata alla circostanza.

Lo dice nella sua struttura (farina e lievito) probabilmente araba, mentre il suo nome è stato attribuito in Sicilia.

Si definisce tale con il nome sfincia qualcosa di soffice come recita il detto: “e’ muoddu comu na sfincia” (è morbido come una sfincia).

Molte le sue varianti: si pensa che lo sfincione sia stato inventato, da alcune suore, all’interno del monastero di San Vito a Palermo.

A Palermo i semplici elementi base vengono arricchiti con della salsa di pomodoro ed altri ingredienti come acciuga e caciocavallo che danno loro un sapore diverso.

In alcuni paesi del palermitano, lo sfincione rappresenta il “pane e companatico” di origine contadina.

A Bagheria è il tradizionale piatto principale del menù che si prepara il giorno prima di ogni festa natalizia (Immacolata, Natale, Capodanno ed Epifania).

La preparazione di questi sfincioni avviene esclusivamente in questo periodo, tranne, come riferisce il Pitrè, soltanto quando ci si preparava per la festa del fidanzamento, il cosiddetto “appuntamientu“, che avveniva in casa della promessa sposa.

A Palermo anche lo sfincione è uscito dal tempo mitico della festa per entrare in quello ordinario.

Ora si può acquistare tutti i giorni, tanto è presente in ogni rosticceria e nelle caratteristiche bancarelle o motolape che circolano per le vie della città decantando la sua bontà: “accattativi u sfincionello…” caldo e soffice con un pizzico di origano, la mano svelta e competente lo irriga con un sottile filo d’olio di oliva per l’avventore di turno.

E’ stato eletto dalla comunità culinaria bagherese come piatto di rappresenta. Difatti gli sfincioni bagheresi vengono distribuiti in tutto il mondo in quanto gli emigranti continuano a richiederlo a tutti i fornai di Bagheria. La sera delle vigilie tutto il paese è inondato dal profumo delle teglie che vanno e vengono da un forno all’altro; lo sfincione si potrebbe definire un pane condito, ma la ricchezza dei suoi condimenti lo fa diventare un piatto unico nel suo genere.

La sua pasta di pane, lievitata ad arte, gli conferisce morbidezza e altezza, la forma circolare o quadrata, condita prima di essere infornata: sarde salate, cipolla, formaggio e olio, ma il condimento essenziale è la mollica, quest’ultima è quella che conferisce allo sfincione una propria identità, anzi è, e ne fa, il piatto tradizionale bagherese, variante questa, che lo differenzia da quello palermitano e dei paesi limitrofi, dove l’ingrediente fondamentale è la salsa di pomodoro.

L’impasto di farina viene lievitato due volte rendendosi più morbido poiché è più ricco d’acqua.

Viene poi schiacciato con il palmo della mano e con tocchi leggeri ed esperti gli si fa assumere la forma desiderata.

Su questa forma si conficcano le sarde salate a piccoli pezzetti. Il secondo strato è costituito da fette di pecorino fresco o tuma o primosale. Il terzo e ultimo strato consiste nella mollica mista a pecorino grattugiato, cipolla appassita in padella o scalogna cruda finemente tritata a mano, origano e olio nuovo.

La mollica non deve essere pan grattato, perché risulterebbe troppo secca e conterrebbe la crosta non conferendo più allo sfincione quella “bianchezza” che è una sua prerogativa; ma sulla preparazione della mollica esiste una prescrizione particolare: deve essere ottenuta, per sfregamento a mano, dall’interno di grandi pagnotte rafferme, chiamate “vastidduna pi’ sfinciuna” comprate a tale scopo tre o quattro giorni prima.

Un’altra cosa essenziale è “l’infornata” che deve essere fatta con il forno a legna.

A Bagheria ne esistono ancora due che risalgono alla seconda metà dell’800. Essi hanno la stessa tipologia “romana”: volta a cupola e forma circolare, grandi per essere utilizzati ad uso pubblico. Questo tipo di forno ebbe una notevole diffusione in Europa.

E’ usanza che gli sfincioni, a Bagheria, sia quelli venduti dai fornai o preparati dalle massaie, vengano cotti nei forni pubblici. Le massaie quindi, dopo averli preparati, li portavano al forno per l’infornata. I proprietari del forno venivano retribuiti con un compenso.

Di questa pratica se ne ha memoria fino alla metà del ‘900, quando le donne si recavano al forno pubblico ed usufruivano di una grande “Maidda“, per la preparazione della pasta. Con l’avvento delle impastatrici meccaniche la maidda è stata abolita.

Ormai l’impasto non viene più preparato dalle massaie, loro si limitano a preparare “a cuonza“, la mollica condita, nelle loro case per poi trasferirsi dal proprio fornaio di fiducia.

E’ comunque caratteristico vedere tutta questa gente affaccendata che con grande via vai è intenta a preparare il gustoso sfincione, che infornato nel forno a legna sprigiona un’intenso odore del legno di limone o delle fascine di ulivo. Nel forno a legna la cottura avviene direttamente sui mattoni, a differenza dei forni elettrici dove per infornare è necessario che si usino le teglie; quanto a gusto sicuramente è più prelibato quello cotto tradizionalmente.

Il momento più esaltante è quando il fornaio sforna gli sfincioni e, per riconoscerne l’appartenenza, ad alta voce grida : “agghia, aliva, nuci, ramurazza, pani, scuorzi” corrispondenti ai “signali” posti da ogni cuoca per poterli distinguere dagli altri.