Dic 08

Panelle e Crocchè, un must !




panellaro_viaoretoLa storia gastronomica dei popoli mediterranei è ricca di pietanze, inventate o importate dai popoli occupanti, e poi radicate sui territori.

Tra i consumi alimentari primordiali, la leguminosa pianta erbacea del cece, originaria dell’oriente, che cresce spontanea in tutto il bacino del Mediterraneo, occupa un posto di rilievo. Basti pensare che i suoi semi sono presenti nelle mense più povere di latini e arabi, popoli distanti fra loro parecchi secoli.

Gli arabi, dominatori della Sicilia a cavallo tra il 9° e l’11° secolo, avvezzi alla sperimentazione gastronomica, ne macinarono i semi, ricavandone una farina che mescolata all’acqua e cotta sul fuoco dava una sorta di impasto crudo, dal sapore non eccezionale.

Ma una sfoglia sottile di questa pasta, cotta a sua volta in una sostanza oleosa, diede vita alla prima “panella”: una sorta di “schiacciata” di piccole dimensioni, di un bel colore dorato. Il detto: “pari ‘na paniella” (sembra una panella) è appunto riferito ad oggetti che hanno avuto la malasorte di trovarsi schiacciati sotto pesi eccessivi.

Prerogativa del territorio, le “panelle” si possono gustare solo a Palermo e dintorni, associate al pane, e rappresentano il caratteristico spuntino del palermitano. Si dice che non esista cittadino palermitano, di vecchia o di nuova generazione, che non le abbia gustate almeno una volta. Studenti e scolari nell’ora di ricreazione, negozianti, impiegati, manovali, artigiani, nelle pause di lavoro. Le deliziose frittelle di ceci, travalicano, con il loro superbo gusto, ogni differenza di censo e di cultura.

Si possono acquistare in una serie infinita di “friggitorie”, di tipo fisso od ambulante, sulle strade di grande traffico, nei quartieri popolari o residenziali, nei quartieri nuovi, nel centro storico.

I luoghi di stazionamento delle friggitorie ambulanti sono, da sempre e puntualmente, i luoghi ove a certe ore si verifica un notevole movimento di persone: quindi scuole, uffici, grandi magazzini, chiese, cimiteri e finanche i campi sportivi nei giorni in cui si svolgono gli incontri. In passato il panellaro si presentava con la carretta sulla quale era montata una baracca di legno chiusa da tre lati.

Nelle foto sotto una vecchia tradizionale friggitoria artigianale ormai non più esistente nel centro storico di Palermo vicino Piazza Ballarò

Al suo interno erano posizionati: un fornello in pietra lavica sul quale una grande casseruola veniva utilizzata per la frittura, un ampio ripiano in cui si mostravano le panelle già fritte contenute in piatti di alluminio, un contenitore di latta (barattolo di conserva) con il coperchio bucherellato per il sale, usato in funzione della richiesta del cliente. In un’angolo emergeva una piccola collinetta di “mafalde”, una classica forma di pane con la “giggiulena” e, appesi ad un gancio, i rettangoli di carta già tagliati a mo’ di tovagliolo.

In tempi più recenti hanno fatto la loro apparizione le “motolape” e i furgoncini che, attrezzati di tutto punto, portano in giro il prodotto già pronto per essere cucinato a richiesta, perché, per gustarle a dovere, le panelle devono essere molto calde. Una volta raffreddate, anche se insaporite con qualche goccia di limone, perdono il gusto originale. Se si prova poi a riscaldarle il risultato non è dei migliori.

Vanno gustate calde, e basta.

Il destino delle panelle è condiviso con le crocchè, o “cazzilli” come li chiamano comunemente i palermitani richiamandosi alla loro forma fallica. Panelle e crocchè sono inseparabili, stanno sempre accanto e talvolta vengono mangiate insieme, nello stesso panino.

La contraddizione tra i due cibi è dovuta alla materia prima di cui sono composti. Le crocchè, ritenute meno classiche, sono realizzate con la patata, umile tubero importato dal nuovo mondo cinque secoli fa. Un connubio, questo, di prodotti vegetali diversi e di culture diverse.

Entrambi erano riposti dentro “u cannistru” (il canestro) e coperti da una “mappina” (salvietta a quadri), pronti per essere fritti.

Corre voce che, fino a qualche anno fa’, per verificare la temperatura dell’olio, il panellaio di tanto in tanto adottasse un sistema… che preferiamo non riferirvi (comunque approvato dai clienti) ma che gli segnalava la condizione termica ideale. Quindi, armeggiando con alcune schiumarole (manico lungo, manico corto, veri attrezzi del mestiere) immergeva le panelle e, rimestando, in pochi minuti serviva gli attenti clienti che là davanti seguivano con attenzione il processo di cottura.

Altro prodotto da “friggitoria” era la melanzana, da sempre accreditata come la “carne dei poveri”: tagliata a “fieddi” (fette) , poi fritte, da mettere in mezzo al pane o “a quaglia” (nulla a che vedere con l’omonimo volatile) cioè incisa lungo i lati, lasciando la parte superiore integra, poi fritta intera, ideale nella stagione estiva per una colazione in riva al mare.




L’evoluzione ha portato alla nascita di diverse friggitorie, ovviamente più evolute dal punto di vista della scelta gastronomica, che si sono localizzate in più parti della città, divenendo un punto di riferimento per i clienti del “fast-food” alla palermitana. Questo tipo di locale richiama alcuni locali dei mercati arabi, ma anche alcuni delle città spagnole: ambedue friggono ogni sorta di vivanda, poi consumata per strada.

Il panellaro inizia la sua attività la mattina presto, in modo da fornire alle maestranze edili, già nella prima mattina, la possibilità di consumare una prima colazione a base di pane e panelle, con o senza l’aggiunta delle crocchè.

Le panelle, si preparano facendo sciogliere la farina di ceci in acqua con sale e prezzemolo.

Poi si pone il recipiente sul fuoco e si rimescola continuamente sino ad ottenere una pasta piuttosto solida (tipo polenta) che, ancora calda, si spalma in apposite formelle di legno di faggio dalla canonica forma rettangolare (4×8 cm).

Sulla formella di legno può essere inciso un elemento floreale che, al raffreddamento della pasta, forma sulla panella cruda un rilievo di circa 3 millimetri.

Il Pitrè ci riferisce che in passato questi rilievi avevano differenti forme tra cui, più frequente, quella di pesce. I “i pisci-panelli”, così le chiamavano i più indigenti che, mangiandole, s’illudevano di mangiare frittura di pesce, allora troppo costosa.

Arrivano ben calde e gonfie sul bancone, dove sono adagiate in un ripiano d’alluminio bucherellato per permettere all’olio di scolare, e in men che non si dica vanno a riempire la pagnottella che sarà tagliata a metà, aperta a mo’ di cerniera, e riempita.

I cazzilli o crocchè si ottengono bollendo le patate che, una volta pelate, vengono passate per creare una purea piuttosto densa a cui si aggiunge prezzemolo o menta, sale e pepe.

Utilizzando le esperte mani, si formano delle crocchette dalla tipica foggia ellittica, della lunghezza di circa sei centimetri. Anche queste vengono poi fritte in abbondante olio di semi.

Dalla preparazione delle panelle e delle crocchè, raschiando con una paletta sia il fondo sia i bordi delle casseruole dove era stato preparato l’impasto, si otteneva un nuovo impasto fatto dalle due materie prime. Con questi impasto si produceva una crocchetta di “rascatura” dal gusto particolare e, cosa da non sottovalutare, dal prezzo ancora più basso, per chi non poteva permettersi neanche le crocchè tradizionali.

In ogni stagione altre fritture arricchiscono il bancone della friggitoria, per la delizia degli avventori, e così troviamo i cardoni (cardi) e broccoletti (cavolfiore) “alla pastella”, i carciofi, le arancine di riso con carne o burro, lo sfincione (sorta di pizza morbida molto spessa, condita con la cipolla), i timballi di pasta al forno o di riso o di verdure, il “grattò” (gatteau di patate), e ancora, frittate miste con erbette di montagna, sarde a “beccafico”, fritture di maccarroneddu o cicireddu (piccoli pesci e pesciolini), di calamari, e l’intramontabile “caponata” il cui ingrediente base è la melanzana.

Le friggitorie ricalcano antiche tradizione della Magna Grecia, quando al “thermopolium” (antico bar – tavola calda) si compravano pietanze cotte, da consumare per strada.

Un momento importante per le panelle (e per le arancine) si riscontra il 13 dicembre, giorno in cui si festeggia Santa Lucia e, per devozione, in tutta l’isola, non si consumano farinacei.

Testo dell’articolo: Carlo Di Franco

(n.d.r.) Ciò che è stato narrato, pur con dovizia di particolari storici, non può né potrà mai sostituire l’esperienza diretta: al viaggiatore raccomandiamo quindi di soffermarsi davanti ad una friggitoria, prima di acquistare il “pane con le panelle”, per assaporare gli intensi profumi dei vari ingredienti. Poi assaggi. Il gusto “unico” della panella solleciterà le sue papille gustative come non mai. Degustandola, provi a guardarsi attorno… i palazzi… le chiese… la storia, gli sembrerà di farne parte Molti, prima di partire, ci ritornano. Molti, la seconda volta, appena scesi dal traghetto, girano subito a sinistra per andare alla tal panelleria dove due anni prima